Dott.ssa Alessia Sapei – Osteopata Fisioterapista a Torino

Lombalgia e muscolo Quadrato dei Lombi

Il “mal di schiena”, più propriamente definito lombalgia, oltre ad essere tra le patologie diffuse in tutto il mondo, rappresenta anche la più frequente malattia dell’uomo dopo il comune raffreddore. Basti pensare che oltre il 70% della popolazione mondiale è destinata a presentare almeno un episodio di lombalgia nel corso della vita.
Ma non tutti i mal di schiena sono uguali!!! A partire dalla causa, dalla localizzazione, dalla sintomatologia per arrivare alla guarigione, la lombalgia presenta approcci di cura molto differenti ed è per questo che risulta fondamentale individuare la causa primaria scatenante e, quando possibile, risolverla.

E’ quindi fondamentale eseguire un’attenta anamnesi del quadro del paziente ed analizzare gli esami strumentali come la Risonanza Magnetica (RMN) per capire il motivo esatto che provoca algia in modo da poter distinguere una discopatia a livello lombare da una semplice contrattura o Trigger Point (punti muscolari iperdolenti): in entrambi i casi infatti il muscolo in questione risulterà indolenzito e dolente ma per cause completamente differenti.

Per capire la sintomatologia di una problematica in cui risulti coinvolto il Quadrato dei Lombi (QL) è necessario conoscere localizzazione e anatomia del muscolo oltre che le sue funzioni, al fine di riconoscere eventuali posture o movimenti sbagliati come causa del dolore.
Il QL si trova nella parete addominale posteriore, e simmetricamente a destra e sinistra, origina dalla cresta iliaca inserendosi sul margine inferiore della 12° costa, andando a contattare anche i processi trasversi delle vertebre lombari L1, L2, L3 ed L4. Esso è formato da due strati muscolari separati tra loro in maniera incompleta ed è rivestito anteriormente da una fascia che lo separa dal muscolo grande psoas, dai reni e dal colon ascendente e discendente.
La funzione del QL è molto importante nella stabilizzazione del bacino insieme ai suoi muscoli antagonisti (ileopsoas, retto addominale, obliquo interno ed esterno nella flessione dorsale) e nell’estensione del tratto lombare; entra in gioco contraendosi, durante il sollevamento di carichi pesanti o durante il movimento delle anche e può anche essere coinvolto nella rotazione del tronco. Infine, grazie alla sua inserzione con le coste, è coinvolto nell’atto respiratorio in particolare nelle espirazioni durante la tosse o gli sternuti.

È adesso più semplice capire perché tra i sintomi maggiormente caratteristici di una problematica al QL si riconosce la lombalgia in stazione eretta o durante l’azione di girarsi nel letto o durante la deambulazione. Un movimento di flessione abbinato alla torsione, come quando prendiamo e spostiamo un peso che si trova di fianco a noi, può attivare Punti Trigger ed a seconda di quali di essi siano coinvolti, il dolore può essere proiettato verso la cresta iliaca e al grande trocantere del femore, fino all’inguine o al quadrato inferiore dell’addome (punti trigger superficiali), o ancora verso la regione glutea vicino all’articolazione sacro-iliaca, oppure verso la regione infero esterna del gluteo (punti trigger più profondi). Alcuni movimenti eseguiti velocemente con la muscolatura ancora “fredda” e non pronta al gesto, oppure l’innalzamento di carichi eccessivi possono invece provocare lesioni muscolari come le “contratture” o gli “strappi muscolari” che, a seconda della loro gravità o grado di lesione, devono essere trattati dal fisioterapista o dalla figura professionale che vi seguirà.

In base alla causa scatenante del dolore al QL il lavoro impostato sarà differente:

  • in caso di Punti Trigger risulterà molto efficace il trattamento manuale basato sul massaggio miofasciale e sullo scarico dei punti stessi in cui si accumula maggior tensione; a seguire, una volta decontratta la muscolatura, il paziente sarà invitato ad eseguire in maniera costante pochi, ma specifici esercizi di stretching.
  • in caso di lesioni muscolari invece, è molto importante il riposo e l’esecuzione del protocollo P.R.I.C.E (protection, rest, ice, compression, elevation). Questo comporta che, durante la fase acuta il muscolo infortunato sia protetto da carichi eccessivi che potrebbero compromettere o rallentare il processo di guarigione. Il ghiaccio, o la crioterapia in genere, viene utilizzato per il suo effetto a livello vascolare e di riduzione del dolore che incide nel miglioramento a breve termine della sintomatologia del paziente. La compressione, attuata tramite bendaggi, limita la diffusione dell’edema dovuto al travaso di liquidi dai vasi lesi all’interno del sito della lesione. Il sollevamento dell’area lesa, invece, riduce la pressione locale e il sanguinamento, favorendo il drenaggio dell’essudato infiammatorio attraverso il sistema linfatico e riducendo di conseguenza l’edema e le relative complicanze. In questa e nel resto delle fasi che compongono la riabilitazione della lesione muscolare, la terapia manuale, il linfodrenaggio e il tape compressivo/funzionali, oltre che la Tecarterapia, possono risultare efficaci nel migliorare le condizioni del paziente e ottimizzare gli effetti della riabilitazione.