Dott.ssa Alessia Sapei – Osteopata Fisioterapista a Torino

Onde d’urto: un’onda di energia al servizio della riabilitazione

Negli ultimi anni le onde d’urto, o shock waves, sono diventate una delle terapie fisiche più interessanti nel campo della fisioterapia e riabilitazione muscoloscheletrica. Spesso associate al trattamento della “spina calcaneare” o delle tendiniti calcifiche, in realtà questa tecnologia ha un campo di applicazione molto più ampio e scientificamente fondato.

Cos’è la terapia a onde d’urto

La terapia con onde d’urto utilizza impulsi meccanici ad alta energia che si trasducono nei tessuti. Queste onde, prodotte da un generatore elettromagnetico, elettroidraulico o piezoelettrico, vengono convogliate su una zona specifica del corpo. L’energia meccanica trasmessa induce microstimoli controllati nei tessuti, che attivano una risposta biologica naturale: aumento della circolazione locale, stimolazione del metabolismo cellulare e rilascio di fattori di crescita che favoriscono la rigenerazione dei tessuti. In parole semplici, le onde d’urto “risvegliano” la capacità del corpo di guarire da solo.

Come agiscono

Gli effetti principali sono tre:

  1. Effetto antinfiammatorio: riduzione della produzione di mediatori infiammatori e miglioramento del drenaggio locale.
  2. Effetto antalgico: interferenza con la trasmissione nervosa del dolore e liberazione di endorfine.
  3. Effetto rigenerativo: stimolo alla neoangiogenesi (nuovi capillari) e alla riparazione dei tessuti tendinei e ossei.

Grazie a questi meccanismi, le onde d’urto non agiscono solo sui sintomi, ma favoriscono la guarigione biologica della struttura coinvolta.

Le principali applicazioni in fisioterapia

Le onde d’urto trovano indicazione in molte condizioni croniche dell’apparato muscoloscheletrico, in particolare quando altre terapie hanno dato risultati limitati:

  • Tendinopatia calcifica della spalla
  • Epicondilite (“gomito del tennista”)
  • Fascite plantare e spina calcaneare
  • Tendinopatia rotulea e achillea
  • Borsiti croniche
  • Sindrome dolorosa miofasciale (trigger points)
  • Ritardi di consolidazione ossea e pseudoartrosi

In alcuni casi vengono utilizzate anche per ridurre la fibrosi cicatriziale o favorire la mobilità articolare dopo interventi o traumi.

Come si svolge una seduta

Il trattamento è ambulatoriale, dura dai 10 ai 20 minuti. La sensazione può essere dolorosa.

Quando evitarle

Le onde d’urto non vanno utilizzate in presenza di tumori, infezioni locali, tendini o muscoli lesionati, gravidanza, trombosi venosa profonda o vicino a protesi metalliche recenti. Per questo è sempre importante una valutazione medica o fisioterapica qualificata prima di iniziare il trattamento.
Numerosi studi confermano l’efficacia delle onde d’urto, soprattutto nelle patologie tendinee croniche resistenti alle cure tradizionali. Pur non essendo una “bacchetta magica”, rappresentano un alleato prezioso per ridurre il dolore, migliorare la funzionalità e accelerare il recupero.

Distorsione di caviglia

Le distorsioni di caviglia sono tra le lesioni più comuni nel mondo dello sport e nelle attività quotidiane. Si verificano frequentemente quando il piede si muove in modo innaturale, solitamente verso l’interno (distorsione laterale), causando danni ai legamenti che stabilizzano l’articolazione. La gravità di questa lesione può variare da un lieve stiramento a una rottura completa dei legamenti, e può portare a complicazioni come instabilità cronica, dolore persistente, gonfiore dopo l’utilizzo e aumentato rischio di recidive.
La sintomatologia tipica include dolore acuto, gonfiore, ecchimosi, limitazione dei movimenti e, in alcuni casi, instabilità dell’articolazione. La diagnosi viene solitamente formulata attraverso l’esame clinico o con strumenti diagnostici come l’ecografia o la risonanza magnetica.
Il trattamento delle distorsioni di caviglia può essere conservativo o con intervento chirurgico. Nella maggior parte dei casi, si preferisce un approccio conservativo che comprende riposo, applicazione di ghiaccio, compressione e elevazione. La fisioterapia è fondamentale per favorire la riabilitazione, rafforzare i muscoli stabilizzatori e migliorare la mobilità articolare. Solo in caso di lesioni gravi o instabilità cronica può essere presa in considerazione la chirurgia.
Nel percorso riabilitativo delle distorsioni di caviglia, le terapie strumentali assumono un ruolo importante. Queste tecniche non invasive aiutano ad accelerare il recupero muscolare, ridurre l’infiammazione e il dolore, e migliorare la funzionalità articolare. Tra le più risolutive troviamo la QMR (in fase acutissima anche), la tecar terapia (in fase acuta) e le onde d’urto (in fase cronica per tendiniti che si possono instaurare). Sono strumenti che, se usati correttamente e in combinazione con altre metodiche riabilitative, permettono di ridurre i tempi di recupero, migliorare la qualità della vita del paziente e prevenire future recidive.
In conclusione, le distorsioni di caviglia rappresentano una problematica molto diffusa ma affrontabile con un trattamento tempestivo, appropriato e, soprattutto, con l’ausilio di terapie strumentali di ultima generazione; la prevenzione delle recidive deve diventare un obiettivo di trattamento.

Terapia strumentale nel trattamento manuale delle cicatrici

La Tecarterapia e la QMR (Quantum Magnetic Resonance) sono due innovazioni terapeutiche utilizzate nel trattamento manuale delle cicatrici, offrendo benefici significativi per la riabilitazione cutanea. La Tecarterapia sfrutta la radiofrequenza per riscaldare i tessuti profondi, stimolando la produzione di collagene e migliorando l’elasticità cutanea, riducendo così l’aspetto vario delle cicatrici.

La QMR, invece, utilizza campi magnetici pulsati per favorire la rigenerazione tissutale e ridurre l’infiammazione, migliorando l’aspetto estetico e la funzionalità della zona interessata. Entrambe le tecniche, applicate manualmente dai terapisti qualificati, rappresentano un approccio non invasivo e sicuro, rendendo il trattamento delle cicatrici più efficace e meno fastidioso rispetto alle tradizionali metodiche chirurgiche o farmacologiche.

Nel tempo, la Tecarterapia favorisce la produzione di nuovo collagene, contribuendo a migliorare la texture e l’elasticità della pelle, rendendo le cicatrici meno visibili e più integrate con i tessuti circostanti. Inoltre, stimolando il metabolismo cellulare, aiuta a ridurre le tensioni e i depositi di tessuto fibrotico, che spesso causano rigidità e dolore.

La QMR, attraverso i campi magnetici pulsati, favorisce il riassorbimento delle aderenze e la rigenerazione tissutale profonda, migliorando la mobilità e riducendo le restrizioni funzionali.
Un grande beneficio di queste tecniche è il loro ruolo nello scollamento delle aderenze: le cicatrici post-chirurgiche o traumatiche possono causare aderenze fibrotiche che limitano il movimento e causano dolore cronico.

La combinazione di Tecarterapia e QMR permette di sciogliere queste aderenze, ristabilendo la normale mobilità dei tessuti e migliorando la qualità di vita del paziente. A lungo termine, questa terapia contribuisce a un progressivo miglioramento estetico e funzionale, prevenendo recidive e riducendo la necessità di interventi chirurgici invasivi.

QPhysio: Innovazione nella Riabilitazione Fisica attraverso la QMR

Il macchinario QPhysio, sviluppato da Telea Medical, rappresenta un’avanzata innovazione nella riabilitazione fisica e nelle terapie fisiche. Questo dispositivo è progettato per sfruttare i principi della Risonanza Quantica Molecolare (QMR), un approccio terapeutico che integra concetti di fisica quantistica e fisioterapia per promuovere la salute e il benessere. Ogni molecola, attraverso le proprie vibrazioni e risonanze, può comunicare informazioni e influenzare processi biologici e la QMR offre un’esplicazione alternativa ai meccanismi di cura, focalizzandosi non solo sull’aspetto chimico-farmacologico, ma anche sugli aspetti energetici e informativi della materia. La QMR si basa sull’idea che ogni molecola e tessuto del corpo umano possiede una propria frequenza di vibrazione. Queste vibrazioni possono essere influenzate da campi energetici esterni, come quelli generati dal macchinario in questione. Il dispositivo emette frequenze specifiche che interagiscono con le vibrazioni naturali delle cellule e dei tessuti, favorendo un processo di risintonizzazione ed è quindi possibile “entrare in risonanza” con molecole target biologiche per stimolarne o rilassarne l’attività. Tale interazione può contribuire a stimolare la rigenerazione cellulare, migliorare la circolazione sanguigna e facilitare il rilascio di sostanze biochimiche benefiche, come le endorfine, che alleviano il dolore e migliorano il benessere psicofisico.
La QMR ha trovato applicazione in diverse aree della medicina (es: sistema immunitario) ma nello specifico affrontiamo l’aspetto riabilitativo dove, essendo altamente versatile, trova applicazione in diverse aree. Tra i principali utilizzi vi sono:
-Riabilitazione Muscoloscheletrica: trattamento di lesioni muscolari e articolari. Le frequenze emesse possono alleviare il dolore, ridurre l’infiammazione e accelerare il processo di guarigione.
-Recupero Post-Operatorio: Dopo interventi chirurgici per stimolare la guarigione dei tessuti e ripristinare la mobilità. La sua capacità di migliorare la circolazione contribuisce a ridurre il rischio di complicanze.
-Gestione del Dolore Cronico: condizioni di dolore cronico, come artrite o fibromialgia, per avere miglioramenti significativi nella qualità della vita.
L’efficacia del QPhysio è stata supportata da studi clinici che evidenziano risultati positivi nei processi di guarigione e recupero fisico. Il dispositivo è progettato tenendo conto della sicurezza e le frequenze emesse sono assolutamente non invasive; questo ne consente l’uso anche in circostanze in cui altri trattamenti potrebbero non essere raccomandabili (Es: onde d’urto, Tecar in caso di lesioni, eccessiva infiammazione, traumi acuti).
Nota che potrebbe sembrare negativa: durata del trattamento. Trattandosi di una biostimolazione e necessitando di tempi fisiologici di recupero, bisogna mettere in conto 8-15 sedute a seconda del problema con una frequenza di due volte la settimana. I risultati superano però altri tipi di terapie “più rapide”, poiché si interviene sulla qualità del tessuto, quindi beneficio più di lungo termine.
Con ulteriori ricerche e studi il QPhysio potrebbe continuare a evolversi, contribuendo in maniera significativa alla medicina e alla terapia fisica moderna.
Per informazioni scrivere a: info@alessiasapei.it

La Fascite Plantare: ritrovare l’equilibrio posturale per risolverla

Per fascite plantare si intende un insieme di sintomi, a prevalenza dolorosa, che insorge in maniera graduale in base alla gravità del problema coinvolgendo la fascia plantare: essa rappresenta la causa più diffusa del dolore alla base del calcagno, alla pianta ed all’arco del piede.

Il dolore può comparire soprattutto al mattino. Infatti la fascia plantare, essendo stata in una posizione accorciata per un lungo periodo di tempo durante il sonno, al momento del risveglio a causa dei movimenti di allungamento del piede rimane contratta per l’infiammazione, provocando dolore. Il dolore insorge inoltre in diverse occasioni come ad esempio durante l’attività sportiva, oppure quando si sta troppo in piedi o si cammina molto con una sensazione di strappo o lacerazione e bruciore.

Essendo un’infiammazione che colpisce la banda fibrosa che dal tallone attraversa tutta la pianta del piede, fino alla base delle dita, la fascite plantare non andrebbe mai sottovalutata o trascurata, in quanto raramente regredisce senza trattamento e a lungo termine può causare problematiche invalidanti, soprattutto per chi pratica sport agonistico.

Le cause scatenanti della fascite plantare possono essere molteplici e anche combinate tra loro: esercizi fisici errati o allenamenti troppo intensi, utilizzo di calzature inadeguate, e soprattutto problematiche di sovraccarico strutturale o posturale.

La fascia plantare ha il compito molto importante di sostenere il piede mantenendo l’arco del piede in posizione curva, fungendo inoltre da ammortizzatore naturale, tramite un cuscinetto adiposo che la ricopre, assorbendo gli shock che si generano durante le normali attività quotidiane. Tuttavia, a causa di dismetrie degli arti o di utilizzo scorretto dei vari distretti della muscolatura coinvolti nel gesto atletico, il peso del corpo viene trasmesso al piede in maniera errata sollecitando oltremodo la fascia plantare e causandone l’infiammazione. Non a caso questa patologia colpisce per la maggior parte chi pratica sport frequentemente o in maniera agonistica come i corridori, i saltatori e i calciatori.

Il trattamento osteopatico/fisioterapico fornisce un’ottima soluzione per diminuire la flogosi, lenire il dolore e correggere le cause da cui si è originata la fascite plantare. Nella fase acuta il professionista consiglierà applicazioni di ghiaccio, stretching e riposo. Successivamente l’intervento sarà volto a ridurre la tensione nella fascia plantare, gestendo la causa dell’infiammazione per ridare elasticità ai tessuti con sedute di Tecar per drenare un eventuale edema e stimolare il tessuto connettivo della giunzione mio-tendinea e del legamento arcuato e con manipolazioni fasciali. Non fosse sufficiente si può optare per le onde d’urto.

L’osteopata andrà inoltre alla ricerca delle dismetrie posturali che hanno causato la fascite plantare. Il lavoro si concentrerà sul rafforzare i muscoli del piede che vengono messi in stress (tibiale posteriore e peroneo lungo); correggere la postura e riequilibrare la meccanica del piede liberando le tensioni che portano l’articolazione sottoastragalica a lussarsi anteriormente, intervenendo inoltre sulla meccanica dell’arto inferiore togliendo tensione dal polpaccio, mobilizzando l’articolazione del piede, sbloccando ginocchio e anca, andando ad agire sul bacino e a livello del passaggio dorsolombare, togliendo tensioni che possono sbilanciare anteriormente il baricentro creando un alterato carico sul piede.

Oltre al lavoro dell’operatore o del tecnico, poiché è importante cercare di dare “durata” alla modifica che apportiamo al piede attraverso degli esercizi di mantenimento. il paziente può eseguire alcuni esercizi per rilassare la zona e quindi effettuare un auto-trattamento, esercitando con una pallina da tennis una lieve compressione e massaggiando la pianta del piede e l’interno della volta plantare.

In altri casi, quando il piede è molto compromesso è necessario il supporto di un plantare che aiuti il piede a mantenere i risultati ottenuti con il lavoro osteopatico.

Sarà quindi utile un lavoro interdisciplinare con la figura di un podologo/posturologo in quanto la fisioterapia ed i plantari da soli non possono guarire la fascite plantare mentre la correzione della problematica posturale, che è alla base della fascite plantare, renderà meno probabile il ripresentarsi della problematica.

Ernia e Protrusione discale, differenze

L’ernia del disco, nota anche come ernia del nucleo polposo o ernia del disco intervertebrale, è una condizione che colpisce la colonna vertebrale, in particolare i dischi intervertebrali. I dischi intervertebrali sono strutture a forma di cuscinetto che si trovano tra le vertebre e agiscono come ammortizzatori per la colonna vertebrale. Un’ernia del disco si verifica quando il nucleo polposo, una sostanza gelatinosa che si trova all’interno del disco, fuoriesce attraverso un punto debole o un’area danneggiata nella parete esterna del disco, chiamata anello fibroso. Questo può essere causato da un trauma, come un movimento brusco o una lesione alla schiena, o da un deterioramento graduale del disco nel tempo.

La protrusione discale si verifica quando il nucleo polposo sporge leggermente attraverso un punto debole o un’area danneggiata nell’anello fibroso. A differenza di un’ernia del disco, in cui il nucleo polposo fuoriesce completamente attraverso l’anello fibroso, nella protrusione discale il nucleo polposo sporge solo parzialmente.

Quando il nucleo polposo si sporge attraverso l’anello fibroso, può mettere pressione sulle radici nervose circostanti o sul midollo spinale, causando sintomi dolorosi e altre problematiche. I sintomi comuni di un’ernia del disco possono includere dolore alla schiena o al collo, dolore irradiato agli arti superiori o inferiori (a seconda della posizione dell’ernia), intorpidimento, formicolio, debolezza muscolare e difficoltà di movimento. La protrusione discale di solito provoca sintomi meno intensi e può persino essere asintomatica.

La diagnosi di un’ernia del disco o di una protrusione può richiedere una combinazione di esami clinici, come l’esame fisico e la valutazione dei sintomi del paziente, insieme a test diagnostici come la risonanza magnetica (RM) o la tomografia computerizzata (TC), che possono fornire immagini dettagliate della colonna vertebrale e dei dischi. Queste indagini vengono prescritte di norma dallo specialista ortopedico o fisiatra.

Il trattamento per un’ernia del disco dipende dalla gravità dei sintomi e può includere opzioni conservative come riposo, farmaci per il dolore, terapia fisica, infiltrazioni di corticosteroidi o terapia manuale. In casi più gravi o se i sintomi persistono, può essere necessario un intervento chirurgico per rimuovere o riparare l’ernia del disco.

Il trattamento per la protrusione discale dipende dalla gravità dei sintomi e può includere opzioni conservative come riposo, farmaci per il dolore, terapia fisica, terapia manuale e esercizi di stretching e rafforzamento muscolare. In alcuni casi, può essere necessario ricorrere a interventi più invasivi, come infiltrazioni di corticosteroidi o, nei casi più gravi, chirurgia per rimuovere o riparare la protrusione discale.

Lombalgia e muscolo Quadrato dei Lombi

Il “mal di schiena”, più propriamente definito lombalgia, oltre ad essere tra le patologie diffuse in tutto il mondo, rappresenta anche la più frequente malattia dell’uomo dopo il comune raffreddore. Basti pensare che oltre il 70% della popolazione mondiale è destinata a presentare almeno un episodio di lombalgia nel corso della vita.
Ma non tutti i mal di schiena sono uguali!!! A partire dalla causa, dalla localizzazione, dalla sintomatologia per arrivare alla guarigione, la lombalgia presenta approcci di cura molto differenti ed è per questo che risulta fondamentale individuare la causa primaria scatenante e, quando possibile, risolverla.

E’ quindi fondamentale eseguire un’attenta anamnesi del quadro del paziente ed analizzare gli esami strumentali come la Risonanza Magnetica (RMN) per capire il motivo esatto che provoca algia in modo da poter distinguere una discopatia a livello lombare da una semplice contrattura o Trigger Point (punti muscolari iperdolenti): in entrambi i casi infatti il muscolo in questione risulterà indolenzito e dolente ma per cause completamente differenti.

Per capire la sintomatologia di una problematica in cui risulti coinvolto il Quadrato dei Lombi (QL) è necessario conoscere localizzazione e anatomia del muscolo oltre che le sue funzioni, al fine di riconoscere eventuali posture o movimenti sbagliati come causa del dolore.
Il QL si trova nella parete addominale posteriore, e simmetricamente a destra e sinistra, origina dalla cresta iliaca inserendosi sul margine inferiore della 12° costa, andando a contattare anche i processi trasversi delle vertebre lombari L1, L2, L3 ed L4. Esso è formato da due strati muscolari separati tra loro in maniera incompleta ed è rivestito anteriormente da una fascia che lo separa dal muscolo grande psoas, dai reni e dal colon ascendente e discendente.
La funzione del QL è molto importante nella stabilizzazione del bacino insieme ai suoi muscoli antagonisti (ileopsoas, retto addominale, obliquo interno ed esterno nella flessione dorsale) e nell’estensione del tratto lombare; entra in gioco contraendosi, durante il sollevamento di carichi pesanti o durante il movimento delle anche e può anche essere coinvolto nella rotazione del tronco. Infine, grazie alla sua inserzione con le coste, è coinvolto nell’atto respiratorio in particolare nelle espirazioni durante la tosse o gli sternuti.

È adesso più semplice capire perché tra i sintomi maggiormente caratteristici di una problematica al QL si riconosce la lombalgia in stazione eretta o durante l’azione di girarsi nel letto o durante la deambulazione. Un movimento di flessione abbinato alla torsione, come quando prendiamo e spostiamo un peso che si trova di fianco a noi, può attivare Punti Trigger ed a seconda di quali di essi siano coinvolti, il dolore può essere proiettato verso la cresta iliaca e al grande trocantere del femore, fino all’inguine o al quadrato inferiore dell’addome (punti trigger superficiali), o ancora verso la regione glutea vicino all’articolazione sacro-iliaca, oppure verso la regione infero esterna del gluteo (punti trigger più profondi). Alcuni movimenti eseguiti velocemente con la muscolatura ancora “fredda” e non pronta al gesto, oppure l’innalzamento di carichi eccessivi possono invece provocare lesioni muscolari come le “contratture” o gli “strappi muscolari” che, a seconda della loro gravità o grado di lesione, devono essere trattati dal fisioterapista o dalla figura professionale che vi seguirà.

In base alla causa scatenante del dolore al QL il lavoro impostato sarà differente:

  • in caso di Punti Trigger risulterà molto efficace il trattamento manuale basato sul massaggio miofasciale e sullo scarico dei punti stessi in cui si accumula maggior tensione; a seguire, una volta decontratta la muscolatura, il paziente sarà invitato ad eseguire in maniera costante pochi, ma specifici esercizi di stretching.
  • in caso di lesioni muscolari invece, è molto importante il riposo e l’esecuzione del protocollo P.R.I.C.E (protection, rest, ice, compression, elevation). Questo comporta che, durante la fase acuta il muscolo infortunato sia protetto da carichi eccessivi che potrebbero compromettere o rallentare il processo di guarigione. Il ghiaccio, o la crioterapia in genere, viene utilizzato per il suo effetto a livello vascolare e di riduzione del dolore che incide nel miglioramento a breve termine della sintomatologia del paziente. La compressione, attuata tramite bendaggi, limita la diffusione dell’edema dovuto al travaso di liquidi dai vasi lesi all’interno del sito della lesione. Il sollevamento dell’area lesa, invece, riduce la pressione locale e il sanguinamento, favorendo il drenaggio dell’essudato infiammatorio attraverso il sistema linfatico e riducendo di conseguenza l’edema e le relative complicanze. In questa e nel resto delle fasi che compongono la riabilitazione della lesione muscolare, la terapia manuale, il linfodrenaggio e il tape compressivo/funzionali, oltre che la Tecarterapia, possono risultare efficaci nel migliorare le condizioni del paziente e ottimizzare gli effetti della riabilitazione.

“Una cicatrice è per sempre”, ma col trattamento manipolativo osteopatico non costituisce un problema!

Forse non tutti sanno che la pelle rappresenta l’organo più esteso del corpo umano: la sua estensione è di circa 2mq!!! Sebbene la sua funzione principale riguardi la protezione dei tessuti e degli organi sottostanti la pelle, in considerazione del suo ruolo di mediatore tra l’organismo ed il mondo esterno, è anche deputata a molte altre funzioni importanti per l’omeostasi dell’organismo come l’escrezione, l’assorbimento, la regolazione termica nonché la sensibilità agli stimoli.
È facile capire che ogni alterazione abbastanza profonda all’integrità della pelle, che noi definiamo col termine “cicatrice”, diventa pertanto sorgente di sintomi che non sono semplicemente superficiali e cutanei, ma dal punto di vista osteopatico possono essere determinanti nella comparsa di diverse problematiche viscerali, posturali e somatiche.
Quasi tutti possediamo una cicatrice recente o remota, grande o piccola: essa rappresenta il risultato finale del processo di riparazione tissutale a seguito di un fattore scatenante, come un intervento chirurgico, un parto cesareo, un incidente o una ferita. Tuttavia, il tessuto fibroso che costituisce la cicatrice è anelastico e rigido e durante il processo della rigenerazione dei tessuti, le aree cicatriziali possono estendersi oltre la zona danneggiata collegando altre parti in modo innaturale e creando le così dette “aderenze”. Si possono così creare facilmente nodi e blocchi sui piani fasciali e muscolari che danneggiano la naturale elasticità e flessibilità dei tessuti, originando trazioni (talvolta dolorose) sulla fascia superficiale ed anche a livello profondo influenzando anche mobilità e postura e provocando dolore e disabilità. Questi cambiamenti strutturali, oltre a causare dolore, effetto nervoso, intorpidimento, gamma limitata di movimento e flessibilità, squilibrio posturale, indebolimento muscolare e deperimento, riduzione dell’ossigenazione tissutale, possono anche comportarsi come un sbarramento che perturba il drenaggio linfatico, circolatorio ed energetico impattando sulla nostra normale fisiologia e sulla nostra salute più in generale. Queste restrizioni non riguardano solo l’articolazione, l’arto o l’area circostante la cicatrice, ma possono anche influire sugli organi sottostanti poichè il tessuto cicatriziale potenzialmente può diffondersi in qualsiasi direzione, anche internamente, in tutto il corpo con conseguente modelli di compensazione.
Infine, spesso le cicatrici vengono associate anche ad una serie di disagi legati alla sfera psicologica poiché, oltre a lasciare una traccia fisica e corporale, mantengono in sé la storia dell’evento che le ha originate e ciò si ripercuote quindi anche sulla sfera emotiva.
La guarigione di una cicatrice può essere classificata in 3 fasi: infiammatoria della durata di 3-4 giorni, riparativa proliferativa per le tre settimane successive, e fase di maturazione che può durare fino a uno o due anni. Durante il processo di guarigione della ferita, entrano in gioco numerosi fattori che influenzano la velocità e la qualità della riparazione della lesione. Tuttavia, l’osteopata può intervenire rimediando a queste problematiche.
Di fronte a una cicatrice di importante dimensione, l’osteopata prenderà in considerazione inizialmente la postura del soggetto, effettuerà semplici test per verificare la mobilità viscerale e articolare e infine applicherà tecniche manipolative di allungamento trasversale e longitudinale del tessuto connettivo a livello della fascia superficiale. Queste manipolazioni non solo aiutano a ridurre il dolore, ma mirano a riportare i tessuti molli in uno stato più funzionale rilassando, ammorbidendo e migliorando la cicatrice, apportando non solo miglioramenti a livello fisico ma aiutando anche a livello psicologico. Pertanto il trattamento osteopatico non riguarderà solo l’area del dolore, ma valuterà anche la funzione generale del corpo e analizzerà la storia e le cause che contribuiscono ai sintomi che si stanno verificando.
È importante sottolineare infine, che l’osteopata può trattare la cicatrice quando essa ha già generato un problema, un dolore ad essa collegato, ma anche e soprattutto al fine di prevenire l’insorgere di queste complicanze.

Trattamento osteopatico per l’Intestino, il nostro “secondo cervello”

La connessione tra cervello e intestino è un argomento del quale si parla da molto tempo nelle terapie alternative e questa sinergia è sempre più oggetto di studio anche a livello scientifico.
Studi recenti hanno dimostrato che l’intestino è deputato a molto di più che a digerire il cibo che ingeriamo; esso contiene milioni di cellule e fibre neuronali che costituiscono un vero e proprio sistema nervoso autonomo. Esso è in grado d’integrare ed elaborare stimoli esterni e interni ricevuti dal corpo, interagendo con il sistema nervoso centrale attraverso uno scambio di informazioni mediato dal sistema psico-neuro-immuno-endocrino (rilascio di ormoni, nervo vago, sistema immunitario). Ciò significa che i due “cervelli” si influenzano reciprocamente, determinando il nostro stato di benessere psico-fisico.

Condizioni di forte stress emotivo, associate ad una dieta non equilibrata ed ad una vita sedentaria, possono attivare i circuiti dell’ansia e della paura o alterare il microbiota intestinale, irritando la mucosa intestinale che, nei casi più gravi, può generare patologie o condizioni anche severe come la sindrome del colon irritabile (IBS) oppure la malattia infiammatoria intestinale.

“La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è una malattia gastrointestinale cronica ricorrente con sintomi e caratteristiche variabili che vanno dal dolore addominale a problematiche più serie associate a cambiamenti nelle abitudini intestinali. Circa il 10% della popolazione è affetta da IBS e quasi 200 persone su 100.000 ricevono una diagnosi iniziale di IBS ogni anno….
Questa disfunzione sensomotoria gastrointestinale può causare una deregolamentazione nell’asse cervello-intestino, che è la regione di elaborazione neurale tra intestino e cervello. La frequenza e l’intensità dei sintomi determinano la terapia medica, che comprende la riduzione del lattosio, integrazione di fibre e agenti di carica, lassativi, antispastici, antibiotici, antidepressivi, interventi psicologici. Tuttavia, l’efficacia di queste terapie varia da studio a studio e le prove dell’efficacia di queste terapie sono deboli. Alla luce della mancanza di farmaci affidabili ed efficaci per la gestione dell’IBS, c’è un crescente interesse per forme di terapie complementari e alternative”
(fonte: http://www.osteopatianews.net/intestinoirritabile/)

Quando il nostro organismo, inteso in questo senso come “insieme” corpo-mente, perde il suo equilibrio non sempre, nei casi più critici, possono bastare una sana dieta e l’allentamento delle tensioni quotidiane: in questo caso il trattamento osteopatico, attraverso la manipolazione viscerale, può essere un valido aiuto e sostegno.
I visceri infatti, scambiano costantemente informazioni con il sistema muscolo-scheletrico, cranio-sacrale, neuroendocrino ed emozionale, pertanto non è possibile isolare la funzionalità di un organo rispetto a quella della struttura a cui si lega (osso, legamento…) e da cui è contenuto, rispetto a un vaso sanguigno che lo nutre e ossigena o ad un nervo che lo mantiene in funzione. Il trattamento osteopatico degli organi addominali aiuta a normalizzare il flusso ematico, il fluido linfatico e l’equilibrio del sistema nervoso autonomo, e mira a ripristinare la normale motilità ed elasticità dei visceri o delle strutture peritoneali intorno ai visceri.
Il ruolo dell’osteopata può quindi garantire questo equilibrio in modo tale da mantenere una buona funzione e vitalità di tutte le componenti nel loro insieme e favorire l’omeostasi del paziente, ovvero il suo equilibrio interno che sottende alla salute.
Per quanto riguarda invece la parte più emozionale, quella relativa alla cura del costituiscono un valido sostegno pratiche di rilassamento e manipolazioni dolci come lo Shiatsu, antica disciplina giapponese di prevenzione e salutogenesi

OSTEOPATIA E DOLORE PELVICO CRONICO

Il dolore pelvico cronico è un disagio ginecologico non così raro la cui diagnosi differenziale comprende patologie, problematiche chirurgiche, problemi muscolo-scheletrici e disfunzioni somatiche. Le donne sono più soggette degli uomini al dolore pelvico perché il loro corpo è influenzato da più cambiamenti come lo stato ormonale ciclico, le alterazioni biomeccaniche durante la gravidanza, lo stress psicosociale, modificazioni durante e dopo l’accudimento dei figli e ulteriori adattamenti nella menopausa. Questo tipo di dolore è definito come dolore ciclico o non ciclico della pelvi, talvolta così forte da causare impotenza funzionale. Il dolore pelvico cronico è il motivo di circa il 10% di tutti i consulti ginecologici, del 40% delle laparoscopie, e del 10-15% delle isterectomie, rappresentando così un problema di salute pubblica clinicamente importante. Una donna su sette presenta un’eziologia indefinita nella diagnosi di dolore pelvico cronico; le diagnosi più comuni sono sindrome del colon irritabile, aderenze, disordini muscolo-scheletrici del pavimento pelvico ed endometriosi. Sia l’approccio medico che quello chirurgico nella gestione del problema sono possibili e talvolta inevitabili, ma le modalità di terapia integrative come il trattamento manipolativo osteopatico sono un’opzione da prendere in considerazione.
La filosofia osteopatica adotta un approccio al benessere attraverso la conoscenza delle interrelazioni tra strutture e funzioni e va alla ricerca delle cause dei problemi dei pazienti. Quando vengono applicati per affrontare il dolore nelle pazienti donne, i principi osteopatici offrono un approccio globale che tiene conto dei complessi fattori psicologici e fisici che influenzano il progredire del dolore cronico. La percezione del dolore non può essere svincolata dalla percezione emotiva del dolore, e gli stimoli nocicettivi vanno quindi inseriti in un contesto di carattere, ambiente, cultura ed esperienze personali.
Nel corso degli anni seguenti al menarca, la pelvi si allarga, i muscoli glutei si allungano e si verifica una rotazione interna dei femori che porta allo spostamento delle rotule. La costante rotazione interna dei femori può influenzare la funzione del diaframma pelvico, facendo correre alle donne il rischio di soffrire di incontinenza da stress nel futuro, soprattutto in caso di gravidanza, di aumento di peso e in menopausa per la riduzione degli estrogeni; l’andatura scorretta può influenzare il dolore delle ossa pelviche a causa della tensione gravitazionale. Inoltre le donne hanno per natura i legamenti più lassi degli uomini e una lassità persistente può contribuire al prolasso di un organo e alla congestione venosa nella donna non gravida. A sua volta il sacro è sospeso tra gli ilei dai legamenti. Le cadute sulle natiche o sulla pelvi possono limitare la mobilità sacrale e portare al dolore pelvico, attraverso la tensione dei legamenti sull’utero o sul pavimento pelvico. Se la condizione non viene trattata, può insorgere dispareunia.
Gli organi pelvici sono collegati funzionalmente attraverso comuni e condivisi percorsi nervosi, non soltanto dalla vicinanza anatomica. I sintomi intestinali e vescicali spesso accompagnano quelli ginecologici e tali disfunzioni possono non rappresentare una malattia dell’organo bersaglio, ma una sindrome da dolore viscerale con sovraregolazione neuropatica che aggrava l’infiammazione e l’ipersensibilità. Per esempio il danneggiamento del plesso nervoso ipogastrico inferiore durante il parto può dare luogo a cambiamenti legati alla reinnervazione che produrranno dolore viscerale dopo alcuni anni. Altre cause di lesione al plesso ipogastrico inferiore, come interventi ginecologici in laparoscopia, tagli cesarei, infezioni pelviche o traumi da incidenti stradali, possono alla fine causare dolore pelvico cronico. Il trattamento manipolativo osteopatico volto a stabilizzare il cingolo pelvico può prevenire sindromi dolorose future.
In conclusione il dolore pelvico cronico è di solito multifattoriale e merita un approccio multidisciplinare medico e complementare.

TRATTO DA:
Melicien A. Tettambel, DO
Using Integrative Therapies to Treat Women With Chronic Pelvic Pain,
J Am Osteopath Assoc November 1, 2007 vol. 107 no. suppl 6 ES17-ES20