Dott.ssa Alessia Sapei – Osteopata Fisioterapista a Torino

Sindrome dello Stretto Toracico (SST)

Con Sindrome dello Stretto Toracico (o Sindrome degli scaleni) si intende quell’insieme di sintomi e disturbi dovuti alla compressione dei fasci nervosi e/o vascolari che, partendo dal collo per andare verso l’arto superiore, si incanalano nello spazio fisiologico compreso tra la clavicola, la prima costa e i muscoli scaleni, succlavio e piccolo pettorale, spazio denominato appunto Stretto Toracico.

A seconda di dove avviene la compressione e di quali strutture interessa, la SST può provocare sintomi neurologici oppure circolatori. Se ad essere compresso è il fascio nervoso (forma più diffusa, circa il 95%) si rileverà un intorpidimento e formicolio al braccio o alle dita poste all’estremità di quest’ultimo; dolore o fastidio al collo, alla spalla o alla mano la quale avrà una presa debole. Se invece la compressione riguarda la parte vascolare (venosa o arteriosa) i sintomi saranno legati al rallentamento o parziale stasi del flusso sanguigno con pallore delle dita e della mano o pelle cianotica, dolore e/o gonfiore al braccio, sensazione di gelo alle dita alla mano e al braccio, debolezza del braccio o del collo anche dopo un’attività non intensa e zona pulsante vicino alla clavicola.
La SST viene spesso confusa con la cervico-brachialgia a causa di sintomi comuni che tuttavia originano da un diverso problema meccanico come ad esempio un’ernia o protrusione cervicale.

Le cause principali della SST, al netto di anomalie anatomiche congenite come la presenza di una costa accessoria cervicale o di un fascio di scaleni accessorio, riguardano per lo più aspetti di tipo meccanico e funzionale.

Le alterazioni posturali sono molto frequenti. La testa proiettata in avanti e le spalle chiuse portano ad un accorciamento associato di alcuni muscoli (scaleni, elevatore della scapola, piccolo pettorale) e all’abbassamento della clavicola, con conseguente restringimento degli spazi dove scorrono i vasi sanguigni e i nervi.

Anche una respirazione prevalentemente “alta” (che vede il coinvolgimento principale dei muscoli superiori del tronco) può portare alla SST. Infatti, essendo gli scaleni ed il piccolo pettorale, muscoli accessori della respirazione, essi possono andare incontro a iper-sollecitazione e ad una ipertrofia che letteralmente “strizza” i fasci nervosi e vascolari dello Stretto Toracico.

I traumi da caduta e da incidente stradale con fratture di clavicola, lussazioni di spalla e colpi di frusta possono portare ad una riduzione dell’apertura toracica superiore; mentre lo stress posturale derivante da carichi pesanti, può portare alla pressione e trazione del plesso nervoso brachiale. Infine anche le attività ripetitive lavorative ( uso prolungato del computer, lavorare in catena di montaggio, il sollevamento ripetuto di oggetti pesanti sopra la testa) o sportive (come ad esempio il baseball o il nuoto) possono comportare, a livello dello Stretto Toracico, un’usura dei tessuti, fino all’insorgenza di vere e proprie patologie.

Poichè, come abbiamo detto, spesso la causa è di natura posturale il primo approccio è di tipo conservativo riabilitativo ed il trattamento risulta spesso sufficiente a controllare le forme di grado moderato. Il trattamento chirurgico va riservato ai casi di dolore persistente, di perdita significativa di forza, grave sintomatologia arteriosa o danni nervosi.

Il trattamento osteopatico, unito a mirati esercizi fisioterapici, è di sicuro il sistema elettivo per valutare e trattare la Sindrome dello Stretto Toracico. Gli obiettivi principali saranno tesi ad allentare la compressione biomeccanica sui nervi e sui vasi sanguigni nella zona interessata, migliorare la flessibilità muscolare e la mobilità delle articolazioni e del tessuto connettivo, controllare il dolore e gli altri sintomi migliorando la qualità della vita del paziente. In seguito potranno essere consigliati esercizi globali di rinforzo della muscolatura addominale, di rieducazione respiratoria improntata alla respirazione addominale-diaframmatica e al rilassamento della parte alta del torace ed infine esercizi specifici dell’arto superiore fino al raggiungimento e il mantenimento di una postura più fisiologica. Verranno raccomandati, nelle normali attività quotidiane, alcuni accorgimenti, come l’uso di braccioli o cuscini per alleggerire la cintura scapolare quando si lavora al computer e alcune posizione antalgiche per dormire in posizione laterale.

Vertigini da cervicale: risolvere si può!

Le vertigini possono essere definite come una sensazione di movimento, rotatorio, oscillatorio o di sbandamento quando in realtà si è fermi. A seconda del sistema di riferimento cui ci si riferisce, vengono definite vertigini soggettive se la sensazione di sbandamento riguarda il soggetto che riferisce mancanza di equilibrio oppure vertigini oggettive quando sembra che sia l’ambiente intorno a muoversi mentre il soggetto è fermo.
Questa sensazione può essere intermittente e durare da qualche secondo a delle ore o addirittura giorni, a volte peggiorando nel momento in cui si cambia posizione, o durante minimi movimenti della testa come tossire o starnutire. Le vertigini possono essere associate a nausea o vomito, a mal di testa o sensibilità a luce e rumori, a sdoppiamento della vista, problemi a parlare o a deglutire, aumento della frequenza cardiaca, fiato corto, debolezza e sudori.

Visti i numerosi sintomi associati non è sempre facile identificare le vere cause delle vertigini ecco perché è fondamentale innanzitutto avere una corretta diagnosi per poter procedere poi ad un trattamento adeguato e ad una cura. Infatti fra le cause scatenanti le vertigini sono inclusi problemi più o meno gravi che richiedono un trattamento repentino ( traumi alla testa come il colpo di frusta, ictus, attacchi ischemici transitori, emorragie cerebrali…) oppure che possono essere trattate senza urgenza dopo la diagnosi effettuata dal medico competente otorinolaringoiatra (problemi all’orecchio interno come infiammazioni o accumuli di calcio, labirintite, sindrome di Ménière, neurite vestibolare, emicrania, sclerosi multipla…). Quando la causa non è afferente a nessuna delle problematiche sopraesposte, in particolare nel caso delle vertigini soggettive, il problema scatenante è da ricercarsi nell’infiammazione della zona cervicale, ecco perchè questo tipo di vertigini sono anche dette “vertigini propriocettive” o “vertigine cervicogeniche”.
Tra le cause principali di vertigini da cervicale possono esserci traumi cranici e cervicali, torcicollo, cervicalgie, artrosi cervicale, ernie dei dischi intervertebrali situati all’altezza cervicale. Esse si intensificano con i movimenti del collo o con l’aumentare della cervicalgia e si riducono contestualmente all’alleviarsi del dolore, ad esempio in seguito all’assunzione di farmaci analgesici al rilassamento muscolare.
Anche una cattiva postura può contribuire alla vertigine cervicale; infatti i muscoli e le articolazioni del collo contengono infatti recettori deputati a trasmettere informazioni sull’orientamento della testa al cervello, agli occhi e all’orecchio interno. Se in questo sistema qualcosa non funziona correttamente, il cervello riceve dati inesatti creando un corto circuito il cui prodotto sono proprio le vertigini. Così ad esempio quando a causa di una prolungata inclinazione del collo verso il basso per guardare dispositivi elettronici (Sindrome da Smartphone), viene esercitata una pressione importante sulle strutture anatomiche del collo anche i vasi arteriosi del collo possono essere influenzati e causare vertigini, mal di testa, dolore al collo, alle braccia come nel caso della cervico-brachialgia.
In questi casi l’intervento dell’osteopata / fisioterapista sono volti a diminuire lo stato di tensione, l’infiammazione e la contrattura dei muscoli cervicali responsabili della sensazione di vertigini e sbandamenti, con esercizi di allungamento e stretching ripristinando le normali tensioni muscolari dei muscoli posteriori, laterali e anteriori del collo, e l’assetto posturale della zona cervicale in toto. Oltre al rachide cervicale, verranno esaminate e trattate anche altre aree del corpo ad esso correlate, come ad esempio: cranio, bocca, bacino, costato, schiena e a volte anche visceri riequilibrando le tensioni alla base del collo, alla base del cranio, le tensioni membranose del cranio e le disfunzioni fasciali, che possono interferire con la normale fisiologia dei neurorecettori dell’equilibrio.

La Fascite Plantare: ritrovare l’equilibrio posturale per risolverla

Per fascite plantare si intende un insieme di sintomi, a prevalenza dolorosa, che insorge in maniera graduale in base alla gravità del problema coinvolgendo la fascia plantare: essa rappresenta la causa più diffusa del dolore alla base del calcagno, alla pianta ed all’arco del piede.

Il dolore può comparire soprattutto al mattino. Infatti la fascia plantare, essendo stata in una posizione accorciata per un lungo periodo di tempo durante il sonno, al momento del risveglio a causa dei movimenti di allungamento del piede rimane contratta per l’infiammazione, provocando dolore. Il dolore insorge inoltre in diverse occasioni come ad esempio durante l’attività sportiva, oppure quando si sta troppo in piedi o si cammina molto con una sensazione di strappo o lacerazione e bruciore.

Essendo un’infiammazione che colpisce la banda fibrosa che dal tallone attraversa tutta la pianta del piede, fino alla base delle dita, la fascite plantare non andrebbe mai sottovalutata o trascurata, in quanto raramente regredisce senza trattamento e a lungo termine può causare problematiche invalidanti, soprattutto per chi pratica sport agonistico.

Le cause scatenanti della fascite plantare possono essere molteplici e anche combinate tra loro: esercizi fisici errati o allenamenti troppo intensi, utilizzo di calzature inadeguate, e soprattutto problematiche di sovraccarico strutturale o posturale.

La fascia plantare ha il compito molto importante di sostenere il piede mantenendo l’arco del piede in posizione curva, fungendo inoltre da ammortizzatore naturale, tramite un cuscinetto adiposo che la ricopre, assorbendo gli shock che si generano durante le normali attività quotidiane. Tuttavia, a causa di dismetrie degli arti o di utilizzo scorretto dei vari distretti della muscolatura coinvolti nel gesto atletico, il peso del corpo viene trasmesso al piede in maniera errata sollecitando oltremodo la fascia plantare e causandone l’infiammazione. Non a caso questa patologia colpisce per la maggior parte chi pratica sport frequentemente o in maniera agonistica come i corridori, i saltatori e i calciatori.

Il trattamento osteopatico/fisioterapico fornisce un’ottima soluzione per diminuire la flogosi, lenire il dolore e correggere le cause da cui si è originata la fascite plantare. Nella fase acuta il professionista consiglierà applicazioni di ghiaccio, stretching e riposo. Successivamente l’intervento sarà volto a ridurre la tensione nella fascia plantare, gestendo la causa dell’infiammazione per ridare elasticità ai tessuti con sedute di Tecar per drenare un eventuale edema e stimolare il tessuto connettivo della giunzione mio-tendinea e del legamento arcuato e con manipolazioni fasciali. Non fosse sufficiente si può optare per le onde d’urto.

L’osteopata andrà inoltre alla ricerca delle dismetrie posturali che hanno causato la fascite plantare. Il lavoro si concentrerà sul rafforzare i muscoli del piede che vengono messi in stress (tibiale posteriore e peroneo lungo); correggere la postura e riequilibrare la meccanica del piede liberando le tensioni che portano l’articolazione sottoastragalica a lussarsi anteriormente, intervenendo inoltre sulla meccanica dell’arto inferiore togliendo tensione dal polpaccio, mobilizzando l’articolazione del piede, sbloccando ginocchio e anca, andando ad agire sul bacino e a livello del passaggio dorsolombare, togliendo tensioni che possono sbilanciare anteriormente il baricentro creando un alterato carico sul piede.

Oltre al lavoro dell’operatore o del tecnico, poiché è importante cercare di dare “durata” alla modifica che apportiamo al piede attraverso degli esercizi di mantenimento. il paziente può eseguire alcuni esercizi per rilassare la zona e quindi effettuare un auto-trattamento, esercitando con una pallina da tennis una lieve compressione e massaggiando la pianta del piede e l’interno della volta plantare.

In altri casi, quando il piede è molto compromesso è necessario il supporto di un plantare che aiuti il piede a mantenere i risultati ottenuti con il lavoro osteopatico.

Sarà quindi utile un lavoro interdisciplinare con la figura di un podologo/posturologo in quanto la fisioterapia ed i plantari da soli non possono guarire la fascite plantare mentre la correzione della problematica posturale, che è alla base della fascite plantare, renderà meno probabile il ripresentarsi della problematica.

CERVICALGIA E ANSIA: il ruolo del Sistema Nervoso Autonomo

Durante questo periodo di grande difficoltà per tutti credo sia un problema comune soffrire di ansia, almeno un po’….chi è già un “habituè” saprà sicuramente riconoscere una cervicalgia da ansia, ma per tutti i neofiti ecco due parole a riguardo.
Ansia e stress nervoso possono provocare cervicale, dolori diffusi e altri sintomi? Certo che sì! Ora, è vero che siamo nell’era dello psicosomatico in generale, ma in questo caso direi che esistono davvero delle correlazioni. Valutiamo in questo articolo il ruolo del sistema nervoso neurovegetativo… il nostro sistema autonomo è preparato a rispondere a situazioni di emergenza (Ortosimpatico = Fight (combatti) or Fly (scappa) or Freeze (panico che “congela”)), ma non è “capace” di capire quando il pericolo è reale o solo pensato o terminato, per cui potrebbe rimanere costantemente “in attacco” anche quando vorresti rilassarti ma l’ansia ti mantiene in stato d’allerta. Di conseguenza aumenteranno la frequenza cardiaca, la pressione e sicuramente il tono muscolare (di tutti i muscoli non solo quelli cervicali!!!). Per contro il sistema parasimpatico (Parasimpatico = Rest (riposa) and Digest (digerisci)) si comporta al contrario, ti rilassa, ti aiuta a digerire, rallenta la frequenza cardiaca; il principale rappresentante è il nervo vago, responsabile tra l’altro anche di un’azione antinfiammatoria. I due sistemi non sono realmente antagonisti, è un po’ più complesso, ma indicativamente essi si modulano vicendevolmente, con proporzionalità inversa. Da qui si deduce che possiamo quindi trovarci in una situazione di aumento del tono muscolare (maggiore attivazione dell’ortosimpatico) e una contemporanea riduzione della capacità antinfiammatoria (minore attivazione del parasimpatico)…risultato…Cervicalgia muscolotensiva! A cascata potremmo andare incontro a cefalea, rigidità cervicale, dolori diffusi da infiammazione generale, problemi digestivi, disturbi del sonno, bruxismo, ecc.
Inoltre l’American Psychological Association afferma che se la persona ha una emotività fortemente negativa abbassa le capacità del sistema di essere performante come antinfiammatorio di se stesso, creando dei circoli viziosi importanti.
Quindi che si fa in autonomia? Cerchiamo di abbassare le tensioni con respirazione diaframmatica, facciamo del movimento e dello stretching, yoga, tai chi, pilates, attività che ci scarichino senza irrigidire i muscoli, tecniche di training autogeno, ecc.
Da chi possiamo farci aiutare? Fisioterapista, Osteopata, Insegnanti delle suddette attività psicomotorie, Psicologi per fare un percorso di crescita personale e di gestione dell’ansia.
“Mens sana in corpore sano”…e viceversa…..!!!

DIAFRAMMA TORACICO E CERVICALE

Il diaframma toracico è il muscolo respiratorio principale, lo utilizziamo senza accorgercene, o spesso lo utilizziamo male o poco, sempre senza averne coscienza. E’ un muscolo fondamentale per la sopravvivenza ma ha anche tante altre funzioni meno evidenti ma importanti. Per la sua anatomia è in stretto contatto con altri muscoli e organi, per questo possono crearsi problematiche a distanza. Nello specifico vediamo il rapporto con la cervicale.
Il legame funzionale tra diaframma e rachide cervicale ha due catene miofasciali dirette e un legame neurologico poichè innervato a livello cervicale (nervo frenico con origine cervicale). Far lavorare correttamente il diaframma permette di non dover utilizzare muscoli accessori respiratori (muscoli situati anche a livello cervicale) e di migliorare la mobilità della gabbia toracica. Si riduce quindi l’utilizzo soprattutto di trapezi, scaleni e sternocleidomastoidei, ottenendo un duplice risultato: da un lato il minor utilizzo favorisce un tono meno contratto e dall’altro migliora la curva cervicale, che in situazione di contrazioni importanti può tendere alla rettilinizzazione creando un circolo vizioso tra postura e contratture muscolari. Inoltre poichè l’innervazione diaframmatica è di origine cervicale si creano dei meccanismi di feedback in entrata e in uscita sul midollo spinale che portano a un aumento progressivo del tono diaframmatico e un aumento della rigidità del tratto cervicale.
Ovviamente il diaframma è inserito in un contesto globale del corpo, per cui è indicato il trattamento diretto con terapia manuale e anche con esercizi respiratori, ma è necessario valutare le eventuali interferenze viscerali e strutturali che possono ridurre la sua funzionalità. Ricordiamo ad esempio che ha strette connessioni con stomaco, esofago, fegato, angoli colici, in aggiunta a tutte le connessioni muscolari, come ad esempio ileopsoas e quadrato dei lombi per citarne qualcuna. L’osteopata è in grado di valutarle e portare il corpo verso un equilibrio.
Risulta quindi evidente che sia un muscolo chiave per una buona mobilità del rachide cervicale ma anche per il rachide in toto, basti pensare che è a cavallo della cerniera dorsolombare, punto di svincolo ideale per la deambulazione. Non è un caso che molte discipline antiche come lo yoga, il pilates, il tai chi si concentrino molto sul lavoro di questo muscolo…con l’era moderna ogni tanto causa stress, frenesia, ansia, ecc ci ritroviamo in apnea e ci “dimentichiamo” di respirare. Stare in apnea o respirare a scatti innesca subito un aumento del tono basale dei nostri muscoli, mentre respirare a fondo, di pancia, permette ad esempio un massaggio diretto ai visceri, un rilassamento del pavimento pelvico, un massaggio non conscio ai plessi neurovegetativi e tanti vantaggi derivanti dal rilassamento generale che ne consegue…provare per credere!

MUSCOLO ILEOPSOAS E MAL DI SCHIENA

Il muscolo ileopsoas si inserisce direttamente sulla spina dorsale, sul bacino e sul femore, ha di conseguenza la potenzialità di influenzare e di essere a sua volta influenzato dalla colonna e dalla pelvi. E’ un muscolo pari e di conseguenza ne abbiamo due. E’ un muscolo posturale ed è stato osservato e dimostrata la sua tendenza ad accorciarsi, creando un aumento della lordosi lombare,

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Ho la CERVICALE !

Problematica comune a molte persone, più o meno intensa come sintomatologia, “la cervicale” ha interessato quasi tutti almeno una volta nella vita. A maggior ragione in questo periodo di sbalzi di temperatura è facile percepire dolori del tratto della colonna cervicale. Ma cos’è la cervicalgia e come può agire l’osteopata?

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La dolce attesa può essere ancora più dolce – Osteopatia e Gravidanza

La gravidanza è una condizione fisiologica e non uno stato patologico. Ciò nonostante il corpo della donna deve essere pronto ad affrontare molti cambiamenti ormonali e strutturali. Cambiano l’organizzazione degli spazi interni, l’elasticità dei tessuti, le curve della colonna devono potersi adattare, il bacino in particolare avrà un ruolo fondamentale nella fase del parto.

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IL MAL DI SCHIENA …possibili cause e suggerimenti

Il mal di schiena o lombalgia è un problema purtroppo molto diffuso. Quasi tutte le persone hanno avuto l’esperienza di dolore alla schiena nel corso della vita. Questo dolore può variare di intensità, di durata e soprattutto di causa. In generale spesso però la lombalgia può rendere difficile praticare molte attività della vita quotidiana.

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